Agli esempi già addotti prima egli aggiunge l'esempio di un tal poeta siracusano, Maraco, che era migliore poeta quando era fuori di sè, e il caso assai più significativo delle Sibille e delle Baccanti.
Osserva pure che alcuni dei meno spiccati fenomeni di nevrastenia geniale sono, in qualche modo, comuni a tutti; così la gioia ed il dolore, in cui spesso noi cadiamo senza ragione plausibile; del resto, anche per lui, dei temperamenti melanchonicoi infinita è la gradazione, come infinita è la varietà dei fenomeni che presentano, spesso opposti, ed irriducibili ad unità(99).
Nè differente dall'aristotelica è l'opinione di Platone sul genio(100).
Quattro forme della pazzia data dagli Dei enumera Platone nel Fedro; egli corre col pensiero alle sacerdotesse di Delfo e alle profetesse di Dodona, alle Sibille e a tutti quelli che, non già con l'abilità umana, ma per diretta ispirazione della divinità, hanno veduto nel futuro e recato tanti beni alle famiglie ed agli Stati dell'Ellade, ed osserva che nessuno di questi beni fu apportato se non da chi era in istato di follìa.
Indi, passando all'arte: "Viene terzo l'invasamento o la follìa che parte dalle Muse, che, occupata l'anima tenera e intatta, scotendola e concitandola, e con canzoni e con ogni altro genere di poesia, infinite gesta degli antichi, adornando, educa i posteri. Ma chi senza la follìa delle Muse giungesse mai alle porte della poesia, persuaso di poter per arte diventare un sufficiente poeta, male opinerebbe; la poesia del saggio, a fronte di quella dell'invasato, svanisce"(101).
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