Importantissima è in proposito l'idea che si fa Platone della divinazione o mantea, che definisce la traduzione spontanea, per mezzo della parola, delle immagini incoscientemente percepite dalla parte più grossolana della psiche, con che precede Sergi, Renda e sopratutto Myers, che interpreta i fatti medianici con la coscienza subliminale.
In un passo di Cicerone, riferito da Clemente(106), noi troviamo ricordato, insieme con Platone, Democrito, in modo da farci supporre che le idee di questi fossero non meno esplicite delle Platoniche. In esso, però, si dice solo che belle sono le cose che il poeta scrive, quando è trascinato dall'entusiasmo e da un soffio divino.
L'affermazione di Cicerone sarebbe però avvalorata da un passo notevole dell'Arte poetica di Orazio (v. 295-306), quando ricorda che siccome Democrito aveva insegnato che il genio artistico è sempre accompagnato dalla pazzia, e che chi è dotato di temperamento affatto equilibrato e sano di mente non sarà mai poeta, così molti poeti del tempo suo cercavano, col lasciarsi crescere le unghie e la barba, con la ostentata ricerca della solitudine e con mille altri strani atteggiamenti, di acquistarsi la fama di strambi, per essere così più facilmente creduti grandi artisti(107).
Orazio, che pure altra volta aveva chiamato l'estro poetico amabilis insania, sapendo di essere grande poeta, non fa molto buon viso all'idea di Democrito, e ironeggiando soggiunge: "Oh! lo stolto che io sono, che ogni anno, alla primavera, mi purgo la bile!
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