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      Ma veniamo a maggiori particolari. I settari stanno raccolti in un'apposita sala molto illuminata, i musici battono su enormi tamburi due colpi lenti e uno rapidissimo, allora li accompagnano i fratelli od Aissaui con una barbara canzone:
     
      Dio Dio Dio nostro padrone, Dio nostro Dio,
      Ben Hissà ordina l'amor di Dio; il serpe obbedisce a Dio,
      Ben Hissà mi fè bere il suo secreto, ecc., ecc.
     
      Questo canto, per quanto sciocco e inconcludente come tutti i canti degli ascetici idolatri, pure, al dire di un europeo, eccita un fremito singolare, un bollimento entusiastico anche nelle vene del più miscredente spettatore.
      Allora quelli fra i fedeli che più rimasero colpiti, anzi, dirò, trascinati dal canto, cadono nel djedjeb, o sacra convulsione; il coro allora cessa i suoi canti, ma i tamburi continuano ad accompagnare le contorsioni del forsennato, che canta:
     
      Il tetto è alto. Ben Hissà l'alzò, ecc.
     
      A misura che l'Aissaui s'aggira nella sua danza furiosa, si vede il sangue montargli al viso, gonfiarsi le vene del collo; il respiro non passa che fischiando per la trachea compressa, ogni traccia di canto dispare per dar luogo ad un suono inarticolato, che è l'ultimo sforzo di una respirazione ostacolata. Giunto a questo punto, l'Aissaui arranca una sbarra di ferro arroventato e se ne batte con essa la fronte e la testa, la lecca con la lingua, la morde con i denti. "Ho sentito io - dice l'egregio viaggiatore - la nauseosa puzza che veniva dall'arrostire delle vive carni e il crepitìo della pelle". Non era dunque illusione.


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Nuovi studi sul Genio.
Parte II (origine e natura geni)
di Cesare Lombroso
Sandron Editore
1902 pagine 193

   





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