Pagina (53/232)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Malgrado il sonno e la stanchezza grande, non mi riescì fatto di addormentarmi. Stetti tre ore in uno stato di febbrile vaneggiamento. Indi mi riscossi: spaventato e frenetico fuggii l'orribile albergo. Sembravami che cento formiche brulicassero sul mio corpo, mordendolo senza misericordia. Le giudicai formiche al tatto, ma erano pulci bisavole alla vista. Corsi al ruscello, e con precipitazione sbattendole dai panni le annegai. Risalito il ruscello ove l'onda spandevasi in laghetto, ridivenni l'uomo di cinque giorni avanti, con un lustrale lavacro. Poi m'accorsi che mancavano i pannilini. Epperò mi rasciugai al sole, e riposai soavemente all'ombra di quei boschi superbi sovra un letto soffice di foglie cadute in molti autunni.
      Faggi e pini a ombrello e alcuna quercia si raggruppavano ivi in masse diverse e spartite: l'accozzamento di verdi differentissimi e la più differente struttura degli alberi inducono una combinazione attraente di prospetti e di colori. La comune robustezza e la comune vetustà imparentano quella varietà mirabile. Gli alti fusti e le separazioni delle masse, permettendo alla luce di penetrarvi, conferiscono all'insieme una trasparenza che rende eleganti quelle forme gigantesche. Fra una massa e l'altra s'interpongono umili famiglie di nocciuole, di minori alberelle e d'odorifere madreselve, onde si disegnano sentieri e viottoli e meandri che paiono opere d'arte squisita. Pochi passi dalla pendice separano la mite temperatura della primavera dagli ardori dell'altipiano; ove nella notte il freddo è intenso.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232