Teti dal ciel spiccò nel mare un salto;
Giove alla reggia s'avviò. Rizzârsitutti ad un tempo da' lor troni i numi
verso il gran padre, né veruno ardissiaspettarne il venir fermo al suo seggio,
ma mosser tutti ad incontrarlo. Ei gravesi compose sul trono. E già sapea
Giuno il fatto del Dio; ch'ella vedutoin segreti consigli avea con esso
la figlia di Nerèo, Teti la divadal bianco piede. Con parole acerbe
così dunque l'assalse: E qual de' numitenne or teco consulta, o ingannatore?
Sempre t'è caro da me scevro ordiretenebrosi disegni, né ti piacque
mai farmi manifesto un tuo pensiero.
E degli uomini il padre e degli Deile rispose: Giunon, tutto che penso
non sperar di saperlo. Ardua ten fôral'intelligenza, benché moglie a Giove.
Ben qualunque dir cosa si convegna,
nullo, prima di te, mortale o Dio
la si saprà. Ma quel che lungi io vogliodai Celesti ordinar nel mio segreto,
non dimandarlo né scrutarlo, e cessa.
Acerbissimo Giove, e che dicesti?
Riprese allor la maestosa il guardoveneranda Giunon: gran tempo è pure
che da te nulla cerco e nulla chieggo,
e tu tranquillo adempi ogni tuo senno.
Or grave un dubbio mi molesta il core,
che Teti, del marin vecchio la figlia,
non ti seduca; ch'io la vidi, io stessa,
sul mattino arrivar, sederti accanto,
abbracciarti i ginocchi; e certo a leidi molti Achivi tu giurasti il danno
appo le navi, per onor d'Achille.
E a rincontro il signor delle tempeste:
Sempre sospetti, né celarmi io posso,
spirto maligno, agli occhi tuoi. Ma indarnola tua cura uscirà, ch'anzi più sempre
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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