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      se vano feritor non mi sospinsequa dalla Licia il re dell'arco Apollo.
      Cosě gridava il vantator. Ma domonon restň da quel colpo Dďomede,
      che ritraendo il passo, e de' cavallicoprendosi e del cocchio, al suo fedele
      Capaneěde si rivolse, e disse:
      Corri, Stčnelo mio, scendi dal carro,
      e dall'omero tosto mi divelliquesto acerbo quadrel. - Dič un salto a terra
      Stčnelo e corse, e l'aspro stral gli svelsedall'omero trafitto. Per la maglia
      dell'usbergo spicciava il caldo sangue,
      e imperturbato sě l'eroe pregava:
      Invitta figlia dell'Egěoco Giove,
      se nelle ardenti pugne unqua a me fostidel tuo favor cortese e al mio gran padre,
      odimi, o Dea Minerva, ed or di nuovom'assisti, e al tiro della lancia mia
      manda il mio feritor: dammi ch'io spegnaquesto ventoso nebulon che grida
      ch'io del Sol non vedrň piů l'aurea luce.
      Udě la Diva il prego, e a lui repentee mani e piedi e tutta la persona
      agile rese, e fattasi vicinae manifesta disse: Ti rinfranca
      Dďomede, e co' Troi pugna securo;
      ch'io del tuo grande genitor Tidčo
      l'invitta gagliarděa ti pongo in petto,
      e la nube dagli occhi ecco ti sgombroche la vista mortal t'appanna e grava,
      onde tu ben discerna le divinee l'umane sembianze. Ove alcun Dio
      qui ti venga a tentar, tu con gli Eterni
      non cimentarti, no; ma se in conflittovien la figlia di Giove Citerea,
      l'acuto ferro adopra, e la ferisci.
      Sparve, ciň detto, la cerulea Diva.
      Allor dič volta e si mischiň tra' primicombattenti il Tiděde, a pugnar pronto
      piů che prima d'assai; ché in quel momentotriplice in petto si sentě la forza.


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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