che accanto gli venìa, Recami, disse,
o mio diletto, il mio maggior cratere,
e mesci del più puro, ed apparecchiail suo nappo a ciascun: sotto il mio tetto
oggi entrâr generose anime care.
Disse; e Patròclo del suo dolce amicoalla voce obbedì. Su l'ignee vampe
concavo bronzo di gran seno ei pose,
e dentro vi tuffò di pecorellae di scelta capretta i lombi opimi
con esso il pingue saporoso tergodi saginato porco. Intenerite
così le carni, Automedonte in altole sollevava; e con forbito acciaro
acconciamente le incidea lo stessodivino Achille, e le infiggea ne' spiedi.
Destava intanto un grande foco il figliodi Menèzio, e conversi in viva bragia
i crepitanti rami, e già del tuttoqueta la fiamma, delle brage ei fece
ardente un letto, e gli schidion vi stese;
del sacro sal gli asperse, e tolte alfinedagli alari le carni abbrustolate
sul desco le posò; prese di paniun nitido canestro, e su la mensa
distribuilli; ma le apposte dapispartìa lo stesso Achille, assiso in faccia
ad Ulisse col tergo alla parete.
Ciò fatto, ingiunse al suo diletto amicole sacre offerte ai numi; e quei nel foco
le primizie gettò. Stesero tuttiallor le mani all'imbandito cibo.
Come fur sazi, fe' degli occhi Aiace
al buon Fenice un cotal cenno: il videlo scaltro Ulisse, e ricolmato il nappo,
al grande Achille propinollo, e disse:
Salve, Achille; poc'anzi entro la tendad'Atride, ed ora nella tua di lieto
cibo noi certo ritroviam dovizia;
ma chi di cibo può sentir dilettomentre sul capo ci veggiam pendente
un'orrenda sciagura, e sul periglio
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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Recami Patròclo Automedonte Achille Menèzio Achille Ulisse Aiace Fenice Ulisse Achille Achille Atride
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