alle fiamme uscirem; cotanto è saggio.
Non mi lodar né mi biasmar, Tidìde,
soverchiamente (gli rispose Ulisse),
ché tu parli nel mezzo ai consci Argivi.
Partiam: la notte se ne va veloce,
delle stelle il languir l'alba n'avvisa,
né dell'ombre riman che il terzo appena.
D'armi orrende, ciò detto, si vestiro.
A Dïomede, che il suo brando aveaobblïato alle navi, altro ne diede
di doppio taglio, ed il suo proprio scudoil forte Trasimede. Indi alla fronte
una celata gli adattò di cuoiotaurin compatta, senza cono e cresta,
che barbuta si noma, e copre il capode' giovinetti. Merïone a gara
d'una spada, d'un arco e d'un turcassoad Ulisse fe' dono, e su la testa
un morïon gli pose aspro di pelle,
da molte lasse nell'interno tuttosaldamente frenato, e nel di fuore
di bianchissimi denti rivestitodi zannuto cinghial, tutti in ghirlanda
con vago lavorìo disposti e folti.
Grosso feltro il cucuzzolo guarnìa.
L'avea furato in Eleona un giornoAutolico ad Amìntore d'Ormeno,
della casa rompendo i saldi muri;
quindi il ladro in Scandea diello al Citèrio
Amfidamante; Amfidamante a Molo
ospital donamento, e questi posciaal figlio Merïon, che su la fronte
alfin lo pose dell'astuto Ulisse.
Racchiusi nelle orrende arme gli eroipartîr, lasciando in quel recesso i duci.
E da man destra intanto su la viaspedì loro Minerva un aïrone.
Né già questi il vedean, ché agli occhi il vietala cieca notte, ma n'udìan lo strido.
Di quell'augurio l'Itacense allegroa Minerva drizzò questa preghiera:
Odimi, o figlia dell'Egìoco Giove,
che l'opre mie del tuo nume proteggi,
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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