nel mezzo della turba, e tardi e lentialternando i ginocchi, all'inimico
ad or ad ora convertìa la fronte.
Come fulvo leon che dall'ovilevien da' cani cacciato e da' pastori
che de' buoi gli frastornano la pinguepreda, la notte vigilando intera:
famelico di carne ei nondimenodritto si scaglia, e in van; ché dall'ardite
destre gli piove di saette un nemboe di tizzi e di faci, onde il feroce
atterrito rifugge, e in sul mattinomesto i campi traversa e si rinselva:
tale Aiace da' Teucri in suo cor tristoe di mal grado assai si dipartìa
delle navi temendo. E quale intornoad un pigro somier, che nella messe
si ficcò, s'arrabattano i fanciullimolte verghe rompendogli sul tergo,
ed ei pur segue a cimar l'alta biada,
né de' lor colpi cura la tempesta,
ché la forza è bambina, e appena il ponnoallontanar poiché satolla ha l'epa;
non altrimenti i Teucri e le coorticollegate inseguìan senza riposo
il gran Telamonìde, e colle basselance nel mezzo gli ferìan lo scudo.
Ma memore l'eroe di sua virtudeor rivolta la faccia, e le falangi
respinge de' nemici, or lento i passimove alla fuga: e sì potette ei solo
che di sboccarsi al mar tutti rattenne.
Ritto in mezzo ai Troiani ed agli Achivi
infurïava, e sostenea di straliuna gran selva sull'immenso scudo,
e molti a mezzo spazio e senza forza,
pria che il corpo gustar, perdeano il volodesïosi di sangue. In questo stato
lo mirò d'Evemon l'inclito figlioEuripilo, ed a lui, che sotto il nembo
degli strali languìa, fatto dappresso,
a vibrar cominciò l'asta lucente,
e il duce Apisaon, di Fausia figlio,
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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