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      gli rispose Giunon; forse t'avvisiche al par del figlio, per cui sdegno il prese,
      Giove i Teucri protegga? Or via, mi segui,
      ch'io la minore delle Grazie in moglieti darņ, la vezzosa Pasitča,
      di cui so che sei vago e sempre amante.
      Giuralo per la sacra onda di Stige,
      tutto in gran giubilģo ripiglia il Sonno;
      e l'alma terra d'una man, coll'altratocca del mar la superficie, e quanti
      stansi intorno a Saturno inferni Deitestimoni ne sian, che mia consorte
      delle Grazie farai la pił fanciulla,
      la gentil Pasitča cui sempre adoro.
      Disse; e conforme a quel desir giuravala bianca Diva, e i sotterranei numi
      tutti invocava che Titani han nome.
      Fatto il gran sacramento, abbandonarod'Imbro e di Lenno le cittadi, e cinti
      di densa nebbia divorār la via.
      D'Ida altrice di belve e di ruscelligiunti alla falda, uscīr della marina
      alla punta Lettča. Preser leggieridel monte la salita, e della selva
      sotto i lor passi si scotea la cima.
      Ivi il Sonno arrestossi, e per celarsidi Giove agli occhi un alto abete ascese,
      che sovrana innalzava al ciel la cima.
      Quivi s'ascose tra le spesse frondein sembianza d'arguto augel montano
      che noi Cimindi, e noman Calci i numi.
      Con sollecito piede intanto Giuno
      il Gąrgaro salģa. La vide il sommodelle tempeste adunatore, e pronta
      al cor gli corse l'amorosa fiamma,
      siccome il dģ che de' parenti al guardosottrattisi gustār commisti insieme
      la furtiva d'amor prima dolcezza.
      Si fece incontro alla consorte, e disse:
      Giuno, a che vieni dall'Olimpo, e senzacocchio e destrieri? - E a lui la scaltra: Io vado


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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