e la gente cadea. Ma quando il giornosu le vie dechinò dell'occidente,
prevalse il fato degli Achei che alfinedall'acervo dei teli, e dalla serra
de' Troiani involâr di Cebrïone
la salma, e l'armi gli rapîr di dosso.
Qui fu che pieno di crudel talentourtò Patròclo i Troi. Tre volte il fiero
con gridi orrendi gli assalì, tre voltespense nove guerrier; ma come il quarto
impeto fece, e parve un Dio, la Parca
del viver tuo raccolse il filo estremo,
miserando garzon, ché ad incontrartivenìa tremendo nella mischia Apollo:
né camminar tra l'armi alla sua voltal'eroe lo vide, ché una folta nebbia
le divine sembianze ricoprìa.
Vennegli a tergo il nume, e colla gravepalma sul dosso tra le late spalle
gli dechinò sì forte una percossa,
che abbacinossi al misero la vistae girò l'intelletto. Indi dal capo
via saltar gli fe' l'elmo il Dio nemico,
e l'elmo al suolo rotolando fecesotto il piè de' corsieri un tintinnìo,
e si bruttaro del cimier le crestedi sangue e polve; né di polve in pria
insozzar quel cimiero era concessoquando l'intatto capo e la leggiadra
fronte copriva del divino Achille.
Ma in quel giorno fatal Giove permiseche d'Ettore passasse in su le chiome
vicino anch'esso al fato estremo. Alloratutta a Patròclo nella man si franse
la ferrea, lunga, ponderosa e saldasmisurata sua lancia, e sul terreno
dalla manca gli cadde il gran paveserotto il guinzaglio. Di sua man l'usbergo
sciolsegli alfine di Latona il figlio,
e l'infelice allor del tutto uscìodi sentimento; gli tremaro i polsi,
ristette immoto, sbalordito, e in quella
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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