l'ira, né giusto è ch'io la serbi eterna.
Tu ridesta le schiere alla battaglia.
Vedrò se i Teucri al mio venir vorrannopresso le navi pernottar. Di gambe,
spero, fia lesto volentier chïunquepotrà sottrarsi in campo alla mia lancia.
Disse: e gli Achivi giubilâr vedendoalfin placato il generoso Achille.
Surse allora l'Atride, e dal suo seggio,
senza avanzarsi, favellò: M'udite,
eroi di Grecia, bellicosi amici,
né turbate il mio dir, ché lo frastuonoanche il più sperto dicitor confonde.
E chi far mente, chi parlar potrebbein cotanto tumulto, ove la voce
la più sonora verrìa meno? Io volgole parole ad Achille, e voi porgete
attento orecchio. Con rimprocci ed ontespesso gli Achivi m'accusâr d'un fallo
cui Giove e il Fato e la notturna Erinni
commisero, non io. Essi in consiglioquel dì la mente m'offuscâr, che il premio
ad Achille rapii. Che farmi? Un Dio
così dispose, la funesta a tuttiAte, tremenda del Saturnio figlia.
Lieve ed alta dal suolo ella sul capode' mortali cammina, e lo perturba,
e a ben altri pur nocque. Anche allo stessodegli uomini e de' numi arbitro Giove
fu nocente costei quando ingannollol'augusta Giuno il dì che in Tebe Alcmena
l'erculea forza partorir dovea.
Detto ai Celesti avea Giove per vanto:
Divi e Dive, ascoltate; io vo' del pettorivelarvi un segreto: oggi Ilitìa
curatrice de' parti in luce un uomodel mio sangue trarrà, che su le tutte
vicine genti stenderà lo scettro.
Mentirai, né atterrai la tua parola,
Giuno riprese meditando un frodo.
Giura, o Giove, il gran giuro, che nel vero
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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