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      della battaglia sanguinosa. Or tuttocol pensier nell'amico alto sospira
      e prorompe così: Caro infelice!
      Tu pur ne' giorni di feral conflittodegli Achivi co' Troi m'apparecchiavi
      con presta cura nelle tende il cibo.
      Or tu giaci, e digiuno io qui mi struggodel desìo di te sol; né più cordoglio
      mi graverìa se morto il padre udissi
      (misero! ei forse or per me piange in Ftia,
      per me fatto campione in stranio lidodell'abborrita Argiva), o morto il mio
      di divina beltà figlio diletto,
      che a me si edùca, se pur vive, in Sciro.
      Ahi! mi sperava di morir qui solo;
      sperava che tu salvo a Ftia tornandosu presta nave, un dì da Sciro avresti
      teco addutto il mio Pirro, e mostri a luii miei campi, i miei servi e l'alta reggia;
      perocché temo che Pelèo pur troppoo più non viva, o di dolor sol viva,
      aspettando ogni dì veglio cadentel'amaro annunzio della morte mia.
      Così geme: gemean gli astanti eroiricordando ciascun gli abbandonati
      suoi cari pegni. Di quel pianto Giove
      impietosito, a Pallade si volseimmantinente, e sì le disse: O figlia,
      perché lasci l'uom prode in abbandono?
      Pensier d'Achille non hai più? Nol vedilà seduto alle navi e lagrimoso
      pel caro amico? Andâr già tutti al desco;
      ei sol ricusa ogni ristor. Va dunque,
      e dolce ambrosia e nèttare nel petto,
      onde non caggia di languor, gl'instilla.
      Sprone aggiunse quel cenno alla già prontaMinerva che d'un salto, con la foga
      delle vaste ali di stridente nibbio,
      calò dal cielo, e nèttare ed ambrosiastillò d'Achille in petto, onde le forze
      il suo fiero digiun non gli togliesse;


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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