i miei precetti. Digli che adiratison con esso gli Dei, ch'io stesso il sono
sovra tutti, da che sì furibondoagli strazii ei rattien l'ettòrea salma,
e per riscatto non la rende ancora.
Ma renderalla, se il mio cenno ei teme.
A Prìamo intanto io spedirò di Giuno
la messaggiera, ond'egli immantinenteito alle navi degli Achei, co' doni
plachi il Pelìde, e il figlio suo redima.
Obbedïente a quel parlar la Diva
mosse i candidi piedi, e dall'Olimpo
scese d'un salto al padiglion d'Achille.
Il trovò sospiroso; affaccendatia lui dintorno i suoi diletti amici
apprestavan la mensa, ucciso un grandee lanoso arïète. Entrò, s'assise
dolce al suo fianco la divina madre,
accarezzollo colla destra, e disse:
E fino a quando, o figlio, in pianti e luttiti struggerai, immemore del cibo,
e deserto nel letto? Eppur di caradonna l'amplesso il cor consola: il tempo,
ch'a me vivrai, gli è breve, e vïolentagià t'incalza la Parca. Or via, m'ascolta,
ch'io di Giove a te vengo ambasciatrice.
I numi, ed esso primamente, sonoteco irati, perché nel tuo furore
ostinato ritieni appo le navid'Ettore il corpo, e al genitor nol rendi.
Rendilo, e il prezzo del riscatto accetta.
E ben, rispose sospirando Achille,
venga chi lo redima e via sel porti,
se tal di Giove è l'assoluto impero.
Mentre in questo parlar stassi col figliola genitrice Dea dentro la tenda,
Giove alla sacra Troia Iri spedìa.
Su, t'affretta, veloce Iri, e dal cielovola in Ilio, ed a Prïamo comanda
che alle navi si tragga e seco apportia riscatto del figlio eletti doni,
onde si plachi del Pelìde il core.
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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Prìamo Giuno Achei Pelìde Diva Olimpo Achille Parca Giove Ettore Achille Giove Dea Troia Iri Iri Ilio Prïamo Pelìde
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