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      Mi provvidi di filo e di colori in abbondanza, col pretesto di preparare molto lavoro per far regali alla Sacra Congregazione nelle feste del Natale. Mi fecero dare tutto quel che volevo.
      Pensai a tutto e non volli tralasciar nulla di quel che stimavo potesse essermi di qualche utilità. Il mio cervello era sempre fitto in questi differenti pensieri e posso dire che lo torturavo per levarmi dalla schiavitù. Vedevo che non si poteva più sperare nella clemenza, poiché invece di ottenere la grazia di qualche allargamento, ci avevano invece ristretti. Quel che poi mi fece disperare di uscir mai di carcere, fu un discorso non meno desolante che edificante, del reverendo padre Marchesi, personaggio assai conosciuto in Roma. Costui era prete della Congregazione di San Filippo Neri alla Chiesa Nuova, esaminatore delle proposizioni eretiche al Sant'Uffizio, uomo di gran sapere, celebre predicatore e stimato d'una probità senza macchia. Dopo che fummo giudicati, venne a confessarci per ordine del Papa con pieni poteri di assolverci da ogni sorta di peccati. Gli feci la mia confessione generale e dopo la confessione mi disse che il Papa era inflessibile verso di noi, che bisognava mettere lo spirito in calma e non nutrire speranza alcuna finché vivesse. Non ostante questo, parve a lui che non perdessi coraggio ed ero ben lieto di parlare con lui ora sopra una materia ora sopra un'altra. Gli chiesi un giorno, così conversando, che castigo avevano sofferto quelli che avevano tentato di fuggire dalle carceri del Sant'Uffizio.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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