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      Achmed partì. Conscio dell'importanza della missione affidatagli, quando si trovò solo sulla via, ripeté a se stesso il giuramento fatto poco prima agli anziani: «Patria mia, io ti porterò la giustizia».
      Giunto in Europa, per lunghi anni studiò, tanto che di lui si diceva: Achmed studia come un'intera tribù.
      VQuando, dopo sì lunga assenza, ritornò in patria, non ancora sceso da cavallo, passando per le vie della piccola città, s'accorse subito che le condizioni della tribù s'erano mutate di molto. Non ne fu sorpreso. Era troppo naturale che così fosse. La legge economica non perdeva della sua forza neppure nel centro del deserto; e le piccole linde casette, che avevano da prima sostituite le tende, erano scomparse per far posto a sontuosi palazzi e a luride catapecchie. Passavano uomini seminudi ed altri coperti di stoffe preziose.
      Achmed si rizzò sulla sella per guardare lontano. No! Il comignolo della fabbrica non era ancor giunto fin lì.
      «Arrivo in tempo per importarlo io», pensò Achmed.
      Gli anziani si radunarono per ricevere le comunicazioni di Achmed.
      Ma la prima assemblea non fu che una lezione di giustizia pratica che Achmed diede ai suoi compatrioti. Egli aveva trovato i suoi beni occupati da altri. O che lo si aveva mandato via per derubarlo con comodità?
      Gli anziani riconobbero la giustezza dell'osservazione e deliberarono di versare ad Achmed tanto oro quanto egli avrebbe potuto trarre dalla vendita dei suoi terreni.
      Ad Achmed però non bastava:
      «E come sarò retribuito di tutto il tempo che dedicai esclusivamente al bene della tribù? Io oggidì avrei aumentato considerevolmente quel mio patrimonio; possederei altre terre e palazzi se, nell'epoca in cui la proprietà fra voi andava formandosi, io non fossi stato assente.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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