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      Ma per fortuna nessuno gli credeva.
      La madre morì e fu portata via. Vincenzo parve più tranquillo. Aveva passato la giornata a guardare il cadavere della madre. Sentiva tale desiderio di rivederla viva che sperava che il suo occhio, quello stesso che le aveva dato la morte, la facesse rinascere. Cessò dallo sforzo quando la vide chiusa nella bara. Sarebbe stato terribile se ora fosse ritornata in sé.
      Presto cessò anche d'accusarsi del grande delitto. Gerardo che oramai cominciava ad accorgersi della gravità della sventura che lo aveva colpito dava segno di cominciare a crederci. Aveva saputo del litigio violento avvenuto fra madre e figlio e riteneva che la congestione cerebrale di cui la vecchia era morta fosse derivata dall'eccitazione risultatale dalla disputa col figlio il quale perciò - credeva Gerardo - se ne accusasse colpevole. Vincenzo che non sapeva sopportare l'avvilimento di un'accusa simile cominciò a scolparsi. E così coperse di nuovo la sua coscienza di un denso strato sotto il quale essa si quietò ingannando tutti. Eppoi il suo occhio aveva commesso già il peggiore delitto; tutto il resto del mondo poteva oramai essere ferito da lui senza rimorso. Continuava a studiare la storia di Napoleone e sapeva che non era l'amore che a quello studio lo legava; era l'invidia e l'odio. Egli sapeva bene come fosse fatta quella speciale vita del suo occhio. Napoleone la attivava in modo straordinario. Per fortuna l'Imperatore giaceva tranquillo agli Invalidi al sicuro dai dardi di Vincenzo.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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