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      Quando la piccola cassa fu portata via Amelia si sentì sola. "Ed ora?" si domandava quasi farneticando. Il marito - dopo la sua ultima avventura - non osava troppe ginnastiche e massaggi. Così non c'era niente da fare. Ritornò ai nipoti. Ma erano cresciuti e appena appena la conoscevano.
      Fu una fortuna che in quei giorni un amico d'affari del marito da Roma chiese l'ospitalità del Merti per la propria moglie e due bambine che dovevano fare i bagni di mare. Furono invitati calorosamente e la casa s'animò. La signora Carini era una buona donna insignificante alquanto se non avesse parlato il più puro linguaggio romano. Le due bambine erano due tesori. Erano brune e Gemma la maggiore di sei anni aveva un aspetto di piccola madre quando teneva per mano Bianca la minore. E Bianca meritava tale nome. Nei suoi riccioli bruni c'erano traccie d'oro e la sua pelle era bianca tanto che le venette vi si rivelavano azzurrognole alle tempie. Divenne subito la prediletta di Amelia che la strinse al seno come se avesse riavuto il suo Achille riveduto e corretto. Oh! ma come una bambina così era differente dal suo povero bambino compianto cui essa in cuor suo domandava perdono perché lo tradiva. Dapprima un po' intimidita dal nuovo ambiente presto ne divenne la padrona. Correva le vaste stanze del pianterreno col passo malfermo e quando Amelia le correva dietro spaventata all'idea che qualche spigolo di mobile potesse ferire la testina, la madre sorridente e tranquilla diceva: «Lasci, lasci; sa guardarsi da sola». Amelia non raccontò alla signora Carini come il suo bambino fosse stato fatto.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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