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      Di notte peṛ le bambole andavano ad addobbare il lettino di Donata. Ella ci dormiva in mezzo come un generale circondato dalla truppa. Riposavano tutte con gli occhi chiusi. Ognuna aveva la sua teletta di notte e per Amelia era un bel da fare svestirle e rivestirle tutte. Le bambole da quelle buone piccine che erano pigliavano sonno subito e Donata balbettava la preghiera in mezzo a loro per poi imitarle. Il signor Merti assisteva sempre alla complicata funzione. L'orgoglio lo soffocava. Veniva preso da assalti di risa inestinguibili; da lui anche la gioia aveva l'aspetto di un assalto di nervi. Spesso mormorava all'orecchio della moglie: «Sei contenta di me?». «Ś, caro» rispondeva quasi maternamente abbracciandolo. Anche lei aveva oltre che la gioia anche l'orgoglio di aver dato la vita a Donata che era anche più bella e gentile di Bianca. Nel colore bruno dei capelli s'era fuso un bagliore d'oro; gli occhi s'erano ammorbiditi come se vi fosse stato mescolato un colore prezioso. Amelia ci aveva messa la sua bellezza; nella lotta essa aveva vinto quella sciocca signora Carini.
      Non mancarono anche per lei delle paure. Un giorno Darwin le disse che i figlioli del secondo marito erano un po' parenti del primo. Ma Donata dimostrava il contrario. Le gambe diritte si muovevano nello stesso ritmo. Nel bagno pestavano l'acqua producendo ambedue lo stesso suono. Non si poteva fidarsi neppure di Darwin a questo mondo.
      Il vecchio dottor Gherich ch'era stato il suo conforto durante la malattia di Achille le comunic̣ un giorno ch'egli intendeva cessare dalla pratica e le domanḍ di poter presentarle suo figlio Paolo che avrebbe potuto sostituirlo.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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