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      Già il Merti consigliava di rinunziarvi per quella sera trattandosi di una indisposizione certo di non grande importanza quando la piccola Donata fu colta da un accesso di tosse che non voleva cessare. La bambinaia mormorò: «Che non sia il crup». La casa fu subito per aria. Tutta la servitù fu lanciata in città in cerca di un dottore. Amelia si teneva la bambina stretta al petto, livida dallo spavento. Altrettanto spaventato il Merti. Finalmente si trovò un medico arrivato il giorno prima dall'università. Trovandosi per la prima volta in quel putiferio anche lui perdette la testa. La mamma e il babbo erano tanto lividi ch'egli pensò a un principio di soffocamento. «Io non posso dire altro» sentenziò, «che dovete trasportare subito la bambina all'ospitale. Avete mezz'ora di tempo». Amelia non se lo fece dire due volte. Coperse la bambina con tre o quattro coperte e corse senza cappello giù per le scale. Ella avrebbe salvata Donata! Per fortuna sulle scale s'imbatté nel dottor Paolo ch'era stato scovato fuori dal cocchiere. Egli guardò con attenzione la bambina che, spaventata, urlava come un'aquila e poté tranquillare subito tutti. La bambina aveva un leggero raffreddore e nient'altro. Subito Amelia gli credette e la sua gioia fu tale che, arrivata nella sua stanza, deposta la bambina sul letto cadde riversa priva di sensi. E fu la prima volta ch'ebbe bisogno ella stessa del dottore. Essa stette subito bene ma la cura fece ammalare il dottore.
      Amelia poté accorgersi subito agli sguardi del dottore alla voce che gli si velava quando le indirizzava la parola, come egli volesse dedicare le sue cure specialmente a lei.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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