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      Scriveva anche versi il povero dottore! Certi suoi istinti poetici soffocati dalla medicina e dalla vita ritornavano rigogliosi a galla. All'ospitale i suoi ammalati che sempre lo avevano amato sentivano nelle sue parole e nelle sue cure una nuova dolcezza. Causa il proprio grande dolore era divenuto più sensibile ai dolori di tutti.
      Ad ogni modo ebbe la consolazione di non ricevere l'attesa lettera di congedo. Anzi un giorno che s'imbatté nel Merti, questi lo arrestò per domandargli perché non lo si vedesse più da loro. «Grazie al Cielo non avete bisogno di me» si sforzò Paolo di sorridere. «Lo so, lo so!» disse giocondamente il Merti che s'era appoggiato allo stipite di una porta. «Tuttavia gli amici si vedono sempre volentieri». Gli offerse la mano e poi con uno slancio si staccò dal muro e si avviò a zoppicare oltre. Ma Paolo non corrispose all'invito. Non voleva più veder mutarsi per lui gli occhi azzurri raggianti in piastrine dure metalliche.
      Un pomeriggio Paolo era uscito col figliuolo per fargli prendere aria. Era una di quelle giornate soleggiate in cui l'inverno stanco prende un riposo. Alla spiaggia c'era un grande tepore primaverile e Carletto allora decenne camminava con un piccolo passo elastico accanto al padre. Era uno splendido fanciullo bianco, rosso e biondo.
      L'equipaggio dei Merti che Paolo riconobbe subito era fermo in mezzo alla via. Dentro, coperto di pellicce riposava il Merti mentre alcuni passi più innanzi camminavano Amelia e Donata. Paolo volentieri sarebbe passato oltre anzi trasse un po' bruscamente a sé il fanciullo per fargli accelerare il passo.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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