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      L'amante era una vera popolana triestina, un modello di triestina quando si sforzava di non apparire più popolana. Vestiva con una certa grazia e portava il cappello - una buona imitazione di qualche modello parigino - e perciò sapeva di appartenere oramai alla schiatta delle cappelline ciò che confessava all'occasione rivelando che sino ad allora ella s'era figurata la testa di una donna come che va adorna dei soli capelli. Era bellina, bionda pallida, dalla pelle bianca, dalla carne abbondante. Doveva essere una dolcezza venir a riposare fra quelle braccia bianche dopo una giornata piena di fatiche e di uccisioni. Ciò ricordava i sultani della Turchia che non riposavano mai altrimenti dopo le battaglie. E usavano anch'essi delle donne di altra razza. Cima, un bel ragazzo bruno con un barbino alla spagnuola (come usava allora) era proprio d'altra razza di Antonia. E se essa non apparteneva ad una razza soggiogata era tuttavia una donna soggiogata perché s'era compromessa e legata ed ora lo rimpiangeva e si trovava in eterna ribellione. Si bisticciavano sempre, lui sorridente perché non domandava la sommissione che in certi istanti; lei coraggiosa perché sapeva che tutte le ribellioni meno una sola le erano permesse. Non abitava con lei. Le aveva messo su un quartierino elegante.
      Io aderivo a tutta questa vita così viva e completa con ammirazione e invidia. Devo anche dire che io vivevo ambedue quegli individui. Lui così attivo e giovine come io non sono mai stato e lei che con tanta brutalità difendeva la dolcezza ch'è il mio destino, e che io non sapevo difendere perché me ne vergognavo come di un'inferiorità.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Turchia Antonia