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      Io avevo il braccio addolorato e aspettavo il padrone e il motorino. Chi avrebbe potuto indovinare che il padrone era tanto occupato che ci avrebbe messo due ore per corrispondere alla mia chiamata? Appena venuto mi mandò subito via e gridando anche perché tutti a questo mondo hanno la mania di diffamare la povera gente. Diceva che il valore della merce macinata non copriva la mia mercede. Dev'essere roba che costa poco allora dissi io. Ora in quella drogheria ci hanno il motorino ma io della mia buona idea non ebbi alcun vantaggio e neppure il mio compagno perché fu mandato via pochi giorni dopo di me». Così anche il povero Giacomo ebbe a subire un attentato. «Come un re» disse egli con qualche compiacenza. «Eppure il re» dissi io «non rifiuta di sovraintendere a dei lavori male organizzati».
      Insomma Giacomo ritornò al suo paese natio beato che ve lo avevano richiamato perché avendo tanto tempo da pensarci su, soffriva talvolta di nostalgia. Non era chiamato ad una posizione troppo splendida. Non avrebbe avuto alcun salario solo un letto e sufficientemente da mangiare. Quel sufficientemente significava sola polenta o quasi. Ma l'amor patrio e la curiosità di conoscere un lavoro in cui non c'era bisogno di lavorare indussero il povero Giacomo alla lunga camminata.
      A un tiro di schioppo dal suo luogo natio, su un colle, il più alto dopo Udine verso la Carnia, c'era la casa del signor Vais un piccolo villino elegante ove abitava il vecchio signore, sua moglie e alcune fantesche.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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