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      Le busse abituano a tutto. Si aperse ancora una volta la porta l'altro uomo, il piccolo, quello che mi si era dimostrato più mio amico, venne a trovarmi. Mi pose le braccia al collo e pose la sua bocca sulla mia. Io aspirai con voluttà l'odore amico. Poi mi diede un pezzettino di buona carne. A me il pezzettino parve piccolo e mi misi a far feste al donatore perché me ne desse di più. E nel far feste, per spingere l'omino alla generosità e aumentare l'allegria, mi misi ad abbaiare. L'omino corse via e mi chiuse l'uscio in faccia. E allora ad onta che sia tanto difficile quietarsi in un luogo straniero mi addormentai. Sognai che avevo non più un padrone solo ma due e si separavano andando in due direzioni opposte così che non potevo corrispondere al mio dovere di seguirli ambedue. Più tardi avvenne la stessa cosa con la preda. Ce n'era tanta che l'aria ne gridava. Era davanti a me e di dietro e alle due parti che l'aria ne portava l'olezzo ed io non potevo correre e soffrivo orribilmente.
      Alla mattina venne il padrone. Non appena lo sentii, indovinai di aver fatto male. M'avvicinai a lui strisciando sulla pancia a dimostrazione del mio pentimento. Poi mi gettai supino con le gambe all'aria perché sapesse che non volevo né fuggire né difendermi. Mi diede alcune nerbate che mi fecero urlare. Poi le busse cessarono ciò ch'è una grande gioia. E quando si camminò la lunga via verso casa, io seguii il mio padrone lieto di essere fuori di ogni dubbio. Sarebbe stato ben male aver due padroni.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387