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      Quell'uomo di cui aveva lette le avventure egli lo amava più che non amasse il Menina o lo stesso Alessandro o persino Adele. Perché quell'uomo di cui aveva letto poteva essere lui stesso. Perché non avrebbe potuto andare da suo padre e carico di milioni farsi amare e ricevere con feste? Fu da quel libro ch'egli per la prima volta apprese a dolersi del proprio destino. Gli pareva che l'unico ostacolo per fantasticarsi con qualche fondatezza nella posizione di quel suo eroe era il fatto ch'egli non conosceva il proprio padre. Come faceva a immaginare quel padre?
      E come al solito smise di battere doghe per indirizzarsi ad Alessandro: «Chissà che mestiere fa mio padre?» rifletté. «Sarà un poltrone come te!» scherzò Alessandro. Ma vedendo che Marianno, deluso di non trovare un appoggio in lui per le sue fantasticherie, faceva un viso triste esclamò: «Una figura ludra el deve esser de zerto». Una figura ludra era già una descrizione e Marianno che si raccontava il proprio futuro vedeva come dopo conquistato il milione andasse a portarlo a quella figura ludra di suo padre, un ubriacone come il padre di Menina. Tanto lui che il milione venivano accolti molto bene e il padre anzi smetteva subito la figura ludra.
      Un'altra volta e sempre suggerita da quel libro Marianno ebbe un'altra idea: «Perché non inventiamo una macchina per tagliare doghe?». Alessandro lo guardò stupito dall'originalità dell'idea. Poi protestò: Tutto a questo mondo si poteva fare a macchina ma tagliare quella sorta di doghe non poteva altra macchina che quella che ha occhi e senno.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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