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      Eppoi perché arrabbiarsi che si poteva correre il rischio di avvelenarsi di fiele?
      L'unico inferocito era Menina che spingeva la prora di qua e di là senza arrivare a liberarsi. «El tasa» gridò ad Alessandro. «No 'l vede che 'l ne fa perder le forze co le so ciacole?».
      Alessandro, di Menina poi non aveva paura. Gli disse un paio d'insolenze prima a bassa voce, poi - vedendo che non gli capitava niente di male - addirittura urlando. E dall'alto del ponte ci si divertiva. «Ciò, fioi, dove mené quel matto?». Alessandro pareva fuori di senno. Aveva levato il berretto perché si sentiva caldo alla testa. Così con la faccia congestionata e i capelli grigi e arruffati pareva una maschera. Spiegava a Menina ch'egli era stato in barca quando lui non aveva ancora neppure aperto un occhio. Ma le interruzioni dall'alto lo lasciarono perplesso. Evidentemente, di lassù gli poteva capitare qualche cosa sulla testa e non bisognava offendere quelli che occupavano quella posizione favorevole. Spiegò loro che per far piacere a Menina gli aveva ceduto il posto a poppa e che n'era rimeritato così: adesso lasciava che i ragazzi si levassero d'impaccio da soli. Così avrebbero imparato. Era strano che la prudenza accompagnasse Alessandro anche nella sbornia. Una giovine donna gli gridò: «No 'l se vergogna de lassar sgobar i fioi?». «Cara, cara!» mormorava Alessandro per rabbonirla e per guadagnare tempo. Poi ebbe un'idea: «Go lassà le done e la vol che me dedica alle barche?». Il riso fu ora tutto in favore di Alessandro il quale s'assise sul banchetto per riposare e, privo d'idee, ripeté pur di non star zitto la sua ultima frase.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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