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      L'osservazione precisa non era mai stata la sua qualità. Probabilmente nello stesso modo aveva inteso gli uomini con cui aveva avuto a fare. È tanto importante a chi vuole intenderlo di piazzare l'individuo nel ceppo da cui esce e in quella valle del Meno egli si sarebbe mosso con gli occhi meglio aperti se non avesse sempre distinto una collina dall'altra e se avesse visto come un'altura unica. Certo s'erano individuate radicalmente perché talvolta il giovinetto aveva dovuto scendere a valle per passare dall'una all'altra non avendo fatto l'esperienza che con un giro più lungo avrebbe potuto rimanere sempre alla stessa altezza per raggiungere un'altra cima. E la cecità continuava in riguardo all'origine delle cose. Se il fanciullo avesse saputo che il fiume, piccolo e insignificante in confronto alla valle talvolta estesissima su cui serpeggiava, l'aveva appianata o lisciata lui, l'aspetto di tutta la regione avrebbe cambiato. Dove la valle s'allargava, là s'annidavano villaggi e cittadine e all'occhio ingenuo del bambino pareva che l'industre popolazione avesse scavato nella collina per adagiare poi le proprie case ai suoi piedi.
      Abbandonarono il treno ad una piccola stazione tutta verde per piante arrampicanti. Il signor Beer, il direttore del collegio, li aspettava alla stazione. Il padre di Roberto lo salutò con grande enfasi. Il signor Beer era stato a Trieste a trovare la famiglia da cui gli provenivano due scolari. Al padre di Roberto egli aveva fatta l'impressione di uomo di alto intelletto e di grande sapere.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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