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      Il signor Dento era pronto nei suoi giudizi su cose e persone ma lentissimo a cambiar di parere. Una volta che aveva detto il suo parere ci viveva con l'ostinazione di chi si è fabbricato da solo la casa. Le cose si mutavano, l'individuo ch'egli amava diveniva sospetto e lui trovava tutti gli argomenti per difenderlo e spiegarlo. Quando poi, infine, sentiva i colpi che il traditore gli menava, allora appena egli se la prendeva con la nequizia della natura umana. Tanto per poter dire che la persona ch'egli aveva amata era tuttavia migliore di tutti gli altri.
      Il signor Beer un uomo forse quarantenne era vestito sempre di un lungo palamidone nero. Una barbina biondiccia che partiva dal mento metteva un margine alla sua faccia alquanto legnosa dal naso sottile, le guancie nude poco fresche, tutta una faccia regolarissima e povera che pareva fatta con ordigni di falegname. Aveva una capigliatura ricciuta abbondante più bruna del barbino e dei mustacchi.
      Poi si scese per una via ripida alla cittadina sottostante, una di quelle piccole città che forse in antico tempo ebbero qualche sviluppo segnato da qualche palazzina barocca, di un piano altissimo dalle vaste finestre addobbate da intarsi in legno, il piano di sotto e il terzo dalle finestrelle quadrate piccole a una lastra sola.
      Tutto questo il vecchio ricordava per averlo rivisto poi tante volte. Di quell'arrivo, di tutta quell'ora egli non ricordò né il signor Beer, né tutti i suoi compagni di viaggio e alcun loro atteggiamento, vestito o parola.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Dento Beer Beer