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      La signora Beer uscì dalla casa per incontrare i viaggiatori. Era una bella signora elegante, alta, bruna, dai grandi occhi espressivi, un profilo puro dal naso aquilino.
      Il vecchio sul poggiuolo di Opicina sospirò. Chissà se era proprio di quel giorno ch'egli la ricordava uscire dalla casa con un sorriso lieto sulle labbra, i grandi occhi neri ansiosi nel saluto, il passo celere, tutta la bella figura equilibrata in uno slancio che ricordava un movimento di danza ma allora o dopo in quell'istante essa era stata adorabile. Allorché a diciott'anni egli l'aveva abbandonata per sempre essa alquanto ingrassata era stata tuttavia bella. Eppure egli non l'aveva mai veduta bella. I suoi sensi giovanili, eccitabili, avevano cercato tutt'altra via. Perché? Il vecchio cercava indarno tale ragione e concluse: gli uomini non sanno vedere tutto; per certe cose hanno gli occhi chiusi. Doveva essere l'avvenire che l'avrebbe informato meglio. Naturalmente l'avvenire dei ricordi! Egli doveva apprendere che il lavoro della memoria può muoversi nel tempo come gli avvenimenti stessi. Questa doveva essere un'esperienza importante sebbene non la più importante di quel delizioso lavorio ch'egli stava facendo. Riviveva proprio le cose e le persone.
      Il suo desiderio l'avrebbe trascinato a ricercare delle epoche più vicine in cui avrebbe scoperta la continuità, la luce, l'aria, la parola di ogni singolo avvenimento. Ma non volle! Bisognava continuare a ricercare in quel mare le poche e piccole isole emergenti e rivederle attentamente quanto era possibile per ritrovarci qualche comunicazione fra l'una e l'altra.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Beer Opicina