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      » E lei lo lasciò andare, inerte perché non sapeva staccare il pensiero dall'indagine sulle parole ch'egli aveva dette prima. L'ultima parola del dottore «Telefonerò domattina prima di andare all'ospitale» raggiunse il suo orecchio come un'ulteriore conferma della gravità dell'ora.
      Lentamente essa spense la luce elettrica alla porta, la riaccese nel corridoio per passarlo sicuramente, procedette sempre esitante, e dopo aver afferrato la maniglia della porta, aperta la quale avrebbe rivisto il marito per la prima volta dopo che lo sapeva sottoposto a tale dura, imminente minaccia, la lasciò ancora una volta per ritornare alla chiave più vicina della luce elettrica e rifare l'oscurità nel corridoio. Non era completa l'oscurità. Era diminuita da un lieve bagliore che veniva dalla stanza dell'ammalato. Essa non subito si mosse. Nella oscurità pregò. Eppure essa sapeva ch'era una meschinità incomparabile inginocchiarsi per domandare degli interventi miracolosi. Il marito aveva tutelato la sua religione come aveva saputo. Ma non aveva saputo farlo abbastanza bene. Ma la scienza s'era allontanata da lei in quel momento e Teresa si ritrovava con la propria religione, o almeno il suo atteggiamento. E quando essa giunse al letto dell'ammalato si sentì più sicura. La preghiera le aveva data la forza di corrispondere interamente al suo ufficio. Era pronta anche alla simulazione.
      La vasta stanza era scarsamente illuminata da una piccola lampada sul tavolo di notte che divideva i due grandi letti matrimoniali.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Teresa