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      Perché Roberto non poteva guarire per la via ch'egli ora batteva, la diminuzione di febbre, se il suo organismo fosse fatto così? Questa era la scienza! Non fatta per lei. «Non ora, non ora!» supplicò. Le pareva un delitto ch'egli ora dovesse sparire. Credeva di domandare poco, solo un rinvio. Le sarebbe stato accordato, oh, certo. Ed essa trovò la pace che aveva domandata per lui.
      La finestra si rese visibile all'inizio dell'alba. Roberto arrivò a vederla con gioia. Il tempo non era fermo. Poi anche lui trovò inaspettatamente un grande riposo. Non vide più la finestra, non la stanza e non sentì più se stesso. Quando ci ripensò non gli parve fosse stato il sonno perché il sonno era tutt'altra cosa. L'angoscia continuava ma lui era stato privato dello sforzo di sottrarvisi. È un grande riposo quello d'essere privato della possibilità di uno sforzo. Era tutto suo senza resistenza. Gli parve di assistere alle avventure più angosciose della vita, avventure losche di cui non serbò ricordo perché non arrivarono neppure alla consapevolezza del sogno. L'angoscia s'era tramutata in visioni di mostri o di catastrofi, o di mostri che stavano per giungere o catastrofi che si preparavano, qualche cosa che non ricordava ma che s'intonava al quadro della vita come egli allora la sentiva.
      Quando ritornò in sé il giorno era pieno. Si sentiva debole, coperto di sudore. Nella stanza c'era molto movimento o a lui parve. La serva uscì e rientrò più volte. Il dottore sedeva sul suo letto, una siringa in mano.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Roberto