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      Pareva meno imbarazzato, più tranquillo anche lui. Era appoggiato allo stipite della porta e guardava attraverso alle grandi lenti dei suoi occhiali gli occhi della signora che invece guardava le sue labbra. Ammirò se stesso: «Come abbiamo fatto bene di non richiamare i figliuoli!». Poi, esitante, attenuò la buona nuova: «Non è finita ancora, ma quasi». E vedendo che ciò bastava per offuscare la faccia della signora trovò il modo di rinnovarle la gioia ricordandole in quale disposizione d'animo egli l'avesse lasciata il giorno prima: «Iersera non avrei data una pipa di tabacco per la sua vita. Oggi è tutt'altra cosa». Pensò ancora, poi abbandonò lo stipite e si raddrizzò prima di porgerle la mano per salutarla: «Resterei volentieri ancora qui» e per un momento il suo corpo pesante si fece pesante, si torse come se la sua grossa pancia fosse stata parte di un serpe privo di gambe «ma debbo affrettarmi» e se ne andò.
      Essa restò a seguirlo con l'occhio. Vide chiaramente che a un certo momento s'arrestò con una gamba in aria esitante a calarsi e raggiungere il prossimo scalino. Ma poi, più deciso, procedette oltre e scomparve. Avrebbe forse voluto dirle qualche cosa d'altro? Non volle pensarci più ma come si avviò alla stanza dell'ammalato, la sua immagine la inseguì. La vedeva come s'era mossa nelle ultime ore: ora l'aveva incoraggiata ed ora spaventata; anche adesso nel momento in cui sembrava che fosse arrivato alla speranza anzi quasi all'intera tranquillità, si teneva un piccolo spazio libero per ballonzolare fra l'ottimismo e il timore.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387