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      Improvvisamente il dolore era cessato. Cessò senza esitazione. Si ritirò e andò via. La morte non era venuta. Ed egli guardò intorno a sé privo di dolore e privo d'eroismo. I suoi denti battevano ancora, ma il dolore era veramente sparito come alla mattina l'affanno. Le sue parole eroiche miseramente assumevano l'aspetto di una vanteria. Poté accorgersi subito che Teresa non pensava così, perché per lei finito il dolore restò lo spavento, nient'altro, un grande spavento. Lo aiutò a coricarsi. Poi volle la cameriera con sé. Poi s'allontanò per andare al telefono e, rapidamente decisa, senza consultare nessuno, telegrafò ai figliuoli di ritornare a casa.
      IVQuando rientrò nella stanza piena di spavento, fu dapprima tranquillizzata.
      Sentendola venire, nel letto ove egli non trovava pace si rizzò. Sedette ed essa lo vedette nella luce del raggio di sole che oramai quasi rasentava il letto. Trasalì. Aveva la fisonomia mutata. Le palpebre gonfie minacciavano di chiudere l'occhio. Era pallido, la faccia coperta da un lieve sudore. E non sapeva guardarla, il suo sguardo la cercava e la trovava forse dove non era come se l'istrumento visivo si fosse in lui mutato e non dovesse rivolgersi all'oggetto che voleva vedere. Ma le parole gli fluirono libere dalla bocca. Abbondanti, qua e là errate per errori di cui sembrava non si accorgesse.
      Dapprima essa gl'impedì di parlare e corse a lui dicendogli: «Soffri? Il dottore sarà qui fra pochi istanti».
      «Non è di lui che abbisogno» disse Roberto chiaramente «perché io non soffro, io non soffro affatto.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Teresa Roberto