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      Intanto per dimostrare la sua riconoscenza ingoiò tutto quel caffè ch'era troppo per le sue abitudini.
      Al Reveni parve che oramai che si sapeva che l'affare non era poi tanto grave per il Maier, si potesse parlarne liberamente: «Ti confesso che io del Barabich non mi sarei mai fidato. Io dell'affare che ti legava a lui appresi solo quand'era già ben fatto. Ma tutti a Trieste sapevano che tutti gli affari prima intrapresi dal Barabich erano finiti male».
      «Sì! Ma non a questo modo!» protestò il Maier. «Pareva anzi che avesse sempre amministrato bene ma che ogni sua intrapresa fosse stata avversata dalla fortuna.»
      Il Reveni fece un gesto di dubbio. «Io non mi fido di una persona che tante volte viene a galla e tante volte va a fondo. È certo che non sa nuotare. La carriera del Barabich cominciò con quell'intrapresa di cui tanto si parlò una diecina d'anni addietro con quei carichi di riso dalla China. Quanto denaro gettato a mare in allora. Poi fu improvvisato promotore d'industrie. È vero che le industrie ideate da lui in parte anche allignarono. Ma senza di lui perché a un dato momento si sentì il bisogno di liberarsi di lui. Di lui non si disse male, anzi tutt'altro; si parlò molto della sua onestà, ma nessuno seppe dirci perché di quelle industrie non facesse più parte. E di che visse poi? Finché non seppe adescare te non fece che parlare, parlare! Parlò della colonizzazione dell'Argentina, della colonizzazione del Kendyke, tutti affari che poterono rendergli poco visto che non li fece.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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