Gli aveva inondata la faccia di aceto e gli teneva una boccetta di sali sotto il naso. Era un cadavere, evidentemente. Gli occhi s'erano chiusi da sé ma il bulbo del sinistro protundeva visibilmente.
Sentendosi tanto straniero a quella donna il Maier non osò parlare. Ricordò l'indirizzo della figlia loro e pensò di ritornare al telefono. Poi si ricredette e decise di andarla a chiamare lui stesso. Non stava lontano.
«Io penso» disse esitante alla signora Reveni «di andar ad avvisare io stesso la signora Alice che suo padre è indisposto.»
«Sì, sì!» singhiozzò la signora.
Egli uscì a passo di corsa. Non per far presto perché il Reveni non poteva oramai essere aiutato da nessuno ma per poter allontanarsi da quel cadavere.
E sulla via si ripeté la domanda: "Sta meglio lui od io?". Come era pacifico steso su quel sofà! Strano! Non si vantava più del proprio successo ingrandito dagli errori del Maier. Era rientrato nella generalità e da lì guardava inerte con quel bulbo protundente privo di gioia o di dolore. Il mondo continuava ma quell'avventura ne dimostrava l'intera nullità. L'avventura toccata al Reveni toglieva ogni importanza a quella toccata a lui.
VIIUN QUARTO ROMANZO?
GLI ULTIMI GRANDI FRAMMENTIUN CONTRATTO
Non ho mai capito bene come io sia arrivato alla mia inerzia attuale, io che durante la guerra ero considerato in città come un uomo molto operoso. C'è mio nipote Carlo che consultai anche su questo punto che pure anch'esso riflette sulla mia salute, e mi disse che facevo bene di stare tranquillo e che avrei ripreso il mio lavoro alla prossima guerra mondiale.
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