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      . E continuo ad essere buono contro ogni migliore convincimento. Che il povero morto mi perdoni ma in quel momento anziché sorridergli come feci avrei voluto accelerare la sua uscita con un calcio.
      Andai da un avvocato, l'avvocato Bitonti, figlio dell'avvocato di mio padre, vecchio come me, più cadente di me, magro e la piccola faccia incorniciata da una barba bianca, ma l'occhio vivo e sereno. Curioso come certe persone quando studiano un affare non vedono altro che quello. Tutta la propria persona scompare e insieme a quella anche quella dell'interlocutore e resta l'affare. Egli non conosceva quell'affare che per quello che gliene dicevo io che al solo affare non sapevo pensare. Sarebbe stato perciò perduto insieme a me. Ma s'attenne all'affare non inteso, non saputo, male presentato. Mi disse: «Tu dici che in guerra hai saputo dirigere da solo i tuoi affari. Devi vedere se sapresti dirigerli da solo anche in tempo di pace. Tu dici che in ufficio hai almeno l'importanza dell'Olivi. Studia anche se la stessa importanza la conserveresti senza l'Olivi. Ma io credo che non devi rimpiazzare subito l'Olivi con qualcun altro. Devi assumere tu la direzione della ditta e in un secondo tempo cercare chi ti possa aiutare o sostituire».
      Andai via odiandolo ma non facendoglielo vedere. Per fortuna! Perché dopo qualche tempo al grammofono vidi pieno di compassione per me stesso, la compassione più viva che esista che io, povero vecchio, non avevo aperte che due vie: Mettermi a lavorare col dubbio di non saperlo fare o arrendermi all'Olivi.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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