«Ebbene, sia! Domani mattina le darò la mia risposta».
E il curioso è che subito abbandonai l'ufficio per la prima volta nell'ora stessa in cui si apriva la posta. In quella stagione e a quell'ora si sarebbe stati meglio nell'ufficio caldo che all'aperto sotto ad una nuvolaglia pregna di neve. Agivo da padrone, cioè da padrone di me stesso, ma non da padrone di quell'ufficio ove il vero padrone, l'Olivi, restava a lavorare, a lavorare al caldo, mentre io dovevo correre in cerca di altro ricetto.
M'arrampicai a piedi fino alla mia villa. Non era il caso di celare ad Augusta la mia sconfitta dal momento che Valentino ne avrebbe saputo. E gliela raccontai subito. Per liberarmi subito da tanto peso strappai Augusta alle sue faccende domestiche e al suo bagno. Le confessai ch'era vero ch'io non sapevo lavorare. Era forse l'età? Non avevo allora che 63 anni ma poteva trattarsi di un invecchiamento precoce. Noto come una coincidenza ch'era la prima volta che in casa si evocava quella malattia. E quando essa colse Valentino ebbi per un momento un rimorso come se gliel'avessi appioppata io.
E parlando della mia irrimediabile vecchiaia mi vennero le lacrime agli occhi. Augusta si mise a consolarmi commossa pronta a piangere con me. Essa ci tiene molto ai denari perché ne consuma molti, saggiamente nel senso che non guarda alla spesa quando si tratta di aumentare la propria comodità. Ma non credo che s'informasse tanto del danno finanziario che dal nuovo contratto doveva derivarmi. Supponeva fosse piccolo e voleva trarne una nuova ragione per consolarmi.
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