In quella passò Renata la bambinaia di Umbertino. Poteva aiutarmi. La chiamai. Essa alzò i suoi occhi bruni stupita e un po' spaventata perché era la prima volta che, lontana dal bambino, io le rivolgessi la parola, mentre io anche nella mia agitazione non sapevo non sorprendermi delle sue gambe lunghe ancora un po' infantili coperte di sole calze di seta.
Fu un po' difficile di spiegarmi. Volevo ch'ella facesse venire a me Augusta senza che gli altri apprendessero ch'ero io che la chiamavo.
Essa subito comprese. Aveva una voce come spezzata da un suono acuto sforzato ch'era aumentato dal riso che ora le interrompeva la parola. Passavano molte note nella sua voce. Propose: «La signora Augusta mi mandò di qui a cercare i suoi occhiali. Io li trovai e li ho qui ma le dirò che non seppi rintracciarli ed allora è sicuro ch'essa verrà a cercarli essa stessa».
Non ero ben convinto che proprio così le cose dovessero svolgersi ma nell'esitazione lasciai che Renata s'allontanasse. Quando capitò Augusta di corsa ammirai molto l'astuzia della piccola servetta.
Per fortuna Augusta non aveva ancora detto una parola che potesse compromettermi verso Valentino. Poi essa non fu affatto sorpresa della bugia che avevo detta; la intese e persino parve l'approvasse. Io credo di spiegare la cosa che ora mi pare abbastanza strana ricordando ch'essa proprio allora ce l'aveva col povero Valentino perché aveva trovato da dire col nostro figliuolo Alfio. Naturalmente poi essa fu d'accordo anche ch'io uscissi per trovare l'Olivi e prevenirlo che il contratto da lui proposto era stato accettato molto prima dell'intervento di Valentino e avrebbe detto a quest'ultimo ch'io adesso uscivo per eseguire una sua commissione.
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