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      Quella sera, al mio ritorno, trovò il modo di restare un momento sola con me e mi domandò da vera complice: «Sei riuscito di parlare con l'Olivi e metterti d'accordo con lui?». E alla mia affermazione dette un sospiro di sollievo.
      La notte seguente io la passai molto inquieto. Non sapevo neppur bene quali dei miei dubbi - ne avevo parecchi - si fosse convertito in incubo ma qualche cosa mi pesava orrendamente. Il contratto stesso? La condanna mia ad un'inerzia definitiva? Ma pensai: Se io in commercio posso valere qualche cosa finirò facilmente col trovare qualche occupazione che mi si confaccia. Neppure questa sicurezza mi diede la tranquillità.
      Dopo un paio d'ore d'irrequietezza non ne potei più e destai Augusta. Essa mi propinò un calmante. Primo effetto del calmante fu di farmi parlare: «È quel maledetto contratto che non mi lascia dormire eppoi ho paura che l'Olivi racconti a Valentino che il mio consenso mi fu strappato proprio dal suo intervento». Non dicevo esattamente il mio pensiero perché sono sicuro che già allora io sapevo che quel vuoto uomo pieno di serietà ch'era l'Olivi avrebbe tenuto la sua parola.
      Augusta mi poteva essere di poco aiuto. Era tanto cieca quando si trattava di me, che credeva io fossi veramente tuttavia il padrone e suggerì che il giorno appresso dal notaio all'atto di firmare il contratto io mi vi rifiutassi visto che non mi piaceva più. Essa non sapeva ch'io già conoscevo tutte le clausole del contratto di cui qualcuna abbastanza avvilente per me e che le avevo già accettate.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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