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      Certo Augusta avrebbe finito con l'obbligarmi a prendere un purgante. Ma forse ne avevo bisogno dovendo digerire tanta di quella roba indigesta.
      Quando fui nel mio studio dopo di aver dato qualche spiegazione ad Augusta in seguito alla quale ebbi la testa fasciata, mi domandai: "Che fare, ora?". Forse avrei trovato qualche cosa da fare, qualche lettura o il grammofono. Avendo tanto tempo a disposizione avrei magari potuto prendere la grande risoluzione di ritornare al violino. Ma come occuparmi quando io tuttavia stavo litigando con l'Olivi? Io non gli avevo ancora dette tutte le insolenze che avrei potuto.
      Molti giorni dopo la firma del contratto scopersi che se il vecchio Olivi non fosse morto io non avrei avuto da dover subire un simile affronto perché lui non l'avrebbe permesso. Questo sarebbe stato un rimprovero che avrebbe certamente addolorato il giovine Olivi che portava tanto rispetto alla memoria del padre. Potevo anche dirgli che se mio padre avesse saputo quale razza di gente sarebbe stata confezionata da quella loro prosapia, non m'avrebbe messo in mano loro.
      E allora soltanto studiai il contratto di cui avevo una copia. Come era fatto con furberia diabolica! Ogni clausola era un'offesa per me. Se per mio volere la ditta avesse da essere sciolta ciò avrebbe implicato la mia perdita di mezzo capitale a vantaggio dell'Olivi.
      Quella clausola mi bruciò tanto che non seppi rinunziare a cercare uno sfogo e credetti di trovarlo rimproverando a Valentino di aver collaborato alla firma del contratto.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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