«Vi si studia» diceva Carlo, «ma non è il caso di accorgersene». Io ero alquanto di malumore. La dieta vegetariana impostami dal dottor Raulli, m'è più ostica di domenica quando vedo intorno a me divorare delle carni di pollame scelto. Ma sono sicuro di non aver messo nella discussione il tono amaro dell'uomo sacrificato. Fui il più mite di tutti. Solo non m'era possibile di respingere tanti alleati che volevano tenere Alfio nella direzione che avrei voluto anch'io e alla quale io solo non sapevo costringerlo. Subito Valentino, un burocrate che credeva a questo mondo sia facile di dare la prova di ogni cosa e che quando s'è fatto un conteggio preciso si è arrivati a capo di tutto, fu troppo aggressivo. Disse che ognuno a questo mondo doveva saper sacrificarsi, per il proprio futuro, per la propria dignità, per la propria famiglia. Era così, non v'era dubbio. Chi non sapeva acconciarsi ad una cosa simile, l'avrebbe poi rimpianto. Egli lo sapeva perché l'aveva visto spesso. Non era della propria esperienza che poteva parlare perché lui, da bel principio, aveva inteso tutto e aveva dalla sua prima giovinezza fatto tutto quello che occorreva per garantire il proprio futuro.
Carlo canzonò un po' Valentino: «Certo è possibile di trovare a questo mondo della gente che invece di pensare sempre al futuro preferisce il presente. Sono due tempi di cui l'uno vale l'altro in grammatica. Libero ognuno di preferire l'uno o l'altro».
Fu uno scherzo ma credo abbia avvelenato la discussione. Alfio non si associò a Carlo - da cui era tanto differente - ma volle allontanarsene di più, e perciò cadde più pesantemente addosso a Valentino: «Non tutti a questo mondo possono intendere tutto.
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