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      Una grande espressione di sincerità è quella di guardare se stesso nel medesimo modo in cui si guardano gli altri.
      Egli si volse a me con la cravatta pendente sulla camicia non fresca. Parve stupito ed ebbe un atto di riguardo: «Ti sei disturbato papà? Non potevi chiamarmi?».
      Sollevato mi misi a ridere: «È per un affare ed è meglio lo trattiamo da soli. Io so da tua madre che tu ogni giorno arrivi a finire un intero quadro. Non potrei averne uno?»
      Mi guardò dubbioso, diffidente col suo occhio pur sempre supplichevole: «Ma padre mio! È un'arte che non è per tutti. È un'arte nuova. Bisogna intenderla. Essendo nuova è rude, è la raccolta di segni quasi non sorvegliati di un'impressione».
      «E che mi fa questo?» risi io. «Arte che sia vecchia o nuova si può comperare. Si fa per venderla. Vendi a me un tuo lavoro. Sarò il primo tuo cliente».
      Parve fosse in procinto di protestare e invece, dopo una breve riflessione, annuì. Poi timidamente disse qualche cosa che doveva essere una cifra.
      «Quanto?» domandai forzando un po' la voce.
      Egli mi guardò esitante, rosso fino alle orecchie. Intesi ch'egli credeva io volessi discutere la sua cifra. Proprio mi spaventai. E se egli adesso avesse ridotto il suo prezzo per compiacermi e gliene fosse derivato il rancore che resta a tutti coloro che sono costretti a ridurre i prezzi? Dove si andava con la conciliazione?
      Mi feci supplichevole: «Io sono vecchio e non sento bene. Dimmi quanto vuoi. Io pago tutto quanto desideri per avvicinarmi a te, alla tua arte.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387