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      «Voglio dire che siamo i soli uomini dello stesso sangue in questa casa. Perché non avremmo da intenderci? Io farò sempre ogni sforzo per avvicinarmi a te. Vuoi imitarmi? Non posso insegnarti più nulla e non voglio avere l'aria di un precettore. Io sono troppo vecchio per insegnarti e tu sei troppo vecchio per apprendere. Hai la tua personalità, tu, e devi fare del tuo meglio per asserirla».
      Lo baciai sulla guancia ed egli, confuso, baciò l'aria. «Sì, babbo» disse commosso.
      Gaiamente m'avvicinai alla porta: «Devi portare dei chiodini per affiggere subito il tuo lavoro alla parete. Sai che una cosa simile io non so farla per bene».
      «Ma un dipinto ha bisogno di una cornice» disse egli. «La compererò io domani. Piccolina, modesta, per il piccolo modesto lavoro»,
      «Sta bene» dissi, «ma intanto voglio cominciare subito a studiare il tuo lavoro. Tu saprai affiggerlo senza danneggiarlo».
      Nei dieci minuti nei quali attesi Alfio fui agitato. Mi pareva di aver compiuta una grande cosa, importante per me, per lui, per la famiglia. E pensai anche che mio padre non avrebbe saputo fare altrettanto. Eppure fra me e lui non c'era stata la grande guerra! Macché guerra! Era questione solo d'intelligenza per saper raggiungere l'altra generazione. Ma della guerra mi ricordai quando vidi il dipinto un quadratino di carta. Lo guardai oltre le spalle di Alfio che era intento a inchiodarlo sulla parete. «Grazie, grazie tante» dissi. Egli stette a guardarlo per un istante, ammirando. Ed io imitai il suo atteggiamento.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Alfio Alfio