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      E mi venne un'idea: Potevo cessar di fumare ad un'ora che non conoscevo. Era un proposito del tutto nuovo ch'era più difficile di rompere. Non più calcoli, non più termini. Si partiva da un punto ignoto per arrivare ad un altro punto ignoto lontanissimo.
      Studiai da quale parte venisse il vento e m'appoggiai su quella parte della botte. Accesi con sicurezza lo zolfanello.
      E allora avvenne una cosa enorme. Il Cima mi tirò addosso. Sentii il fischio dei pallini intorno alle mie orecchie. Mi colse un'indignazione enorme. In quell'epoca tale indignazione colpiva tutti coloro che cercavano d'impedirmi l'ultima sigaretta. Si può figurarsi come mi sentii dinanzi ad un intervento simile. Non ci pensai due volte. Invece che rispondere alle insolenze che ora il Cima mi lanciava, gli gridai: «Io t'ammazzo». Puntai lo schioppo su lui e sparai.
      «Imbecille» urlò il Cima «che fai?».
      «E tu che facesti?» risposi io.
      «Ma io so tirare».
      «Se non chinavo a tempo il capo avrei avuto un pallino nell'occhio».
      «Io ho il cappello forato» e saltò dalla botte per portarmelo a far vedere.
      Mi dispiacque. Avrei potuto dire che avevo mirato al cappello e non alla testa, ma lui non m'avrebbe creduto.
      «Mi dispiace» dissi «ma m'hai fatto arrabbiare».
      Egli diede un'occhiata di rimpianto alla vasta palude e si avviò.
      «Ma tu puoi restare» dissi io immusonato e fumando con rabbia. «Me ne vado io».
      «Per far che cosa?» disse lui accendendo una sigaretta. «A quest'ora tutti gli uccelli dei dintorni sanno che qui ci sono dei fucili.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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