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      Tante volte l'avevo pregato di tenermi compagnia. Scappava non appena poteva.
      Si accendeva di amicizie appassionate ora per uno ora per l'altro dei suoi colleghi. Per un certo tempo dedicò tutto il suo affetto ad un pittore che faceva sul serio dei ritratti bellissimi. Ed io gli dissi con rabbia: «Ah! Si può anche dipingere le cose come esistono?». Egli impallidì come sa impallidire lui e mi rispose: «Ognuno ha la sua personalità». A lui, cioè a noi era toccata quella personalità sbilenca dei colori disordinati. Non c'era da far altro che sopportarla. Egli si vendicò in tutte le occasioni.
      Ma così dovetti arrivare alla conclusione che se la mia agonia e la mia morte avessero dovuto essere una grossa punizione per Alfio, egli la punizione l'aveva veramente meritata. Potevo avviarmi alla morte con grande tranquillità. La morte era l'avventura di tutti e bisognava ch'io mi rassegnassi anche alla mia. Avevo ora delle buone ragioni per credere che anche le sue conseguenze non sarebbero state troppo gravi: Augusta m'avrebbe pianto in pieno equilibrio, Antonia non avrebbe pianto affatto e Alfio avrebbe potuto fare come avevo fatto io o tutt'altrimenti che sarebbe stato lo stesso per me.
      IIMia figlia è stimabile come lo fu sua madre e anche di più, è troppo stimabile. Somiglia fisicamente ad Ada, nella figurina eretta, nell'eleganza della testina e di tutto il corpo. Io so che piace molto agli uomini da quanto ne appresi da Augusta, ma essa fece già da giovinetta un proposito forte di virtù cui restò fedele con ogni suo atto ma anche con ogni sua parola e persino con ogni suo sguardo.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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