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      «Carlo» gridai. Per un istante Antonia cessò di piangere e guardò anche lei. «No, non è Carlo» disse. Infatti il giovinotto passò oltre guardandoci con qualche curiosità.
      Antonia si quietò e poco dopo abbandonammo il cimitero. Nella vettura essa lungamente stette silenziosa, gli occhi arrossati rivolti alla via ch'essa certamente non vedeva. Poi improvvisamente si volse ad Augusta e le domandò dove sarebbe stata posta in casa nostra, quando ella vi si fosse trasferita, la stanza da letto della sua servitù. Augusta glielo disse. Di nuovo Antonia rivolse per qualche istante i suoi begli occhi sulla via fuggente e quando ritornò a noi mormorò: «Io vorrei provare. Già se avessi da trovarmi male o m'accorgessi d'incomodarvi, ritornerei a casa mia».
      Ed è così che decise a venire a stare con noi. E quando io la ricordo in quella luce di calce con quel suo musino che l'infanzia non del tutto abbandonò, con quella fossetta al mento, io penso: "Cara, bella, piccola megera che vuol piangere tanto, ma non vuol piangere sola".
      Ma è anche così che Umbertino mi si avvicinò di più e si fece sempre più importante nella mia vita.
      UMBERTINOIo sono un uomo che nacque proprio a sproposito. Nella mia giovinezza non si onoravano che i vecchi e posso dire che i vecchi di allora addirittura non ammettevano che i giovani parlassero di se stessi. Li facevano tacere persino quando si parlava di cose che pur sarebbero state di loro spettanza, dell'amore per esempio. Io mi ricordo che un giorno si parlava dinanzi a mio padre, da suoi coetanei, di una grande passione ch'era toccata ad un ricco signore di Trieste e per la quale si rovinava.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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