E il bambino salutava divertito una pianta anche lui. Era notte o era un giorno dal sole vivo, e il bambino di notte apriva grandi gli occhi per saper evitare gli ostacoli o li socchiudeva per non lasciarli ferire dalla grande luce. Era poi lui il bambino che tutti credevano cattivo ed era invece pieno di una bontà di cui nessuno s'accorgeva e per scoprire la quale occorreva una fata. Ma la povera parola di Valentino era necessaria. Privato di essa i nervi di Umbertino non agivano. Tutta la sua efficacia aveva quella povera parola. Come la grossa bocca di Valentino s'apriva ne uscivano le parole tanto importanti che subito si materiavano in cose e persone.
Quando Umbertino capitò da me egli aveva scoperto un modo di supplire alla mancanza del padre. Le storie le raccontava lui. Ne sapeva - credo - due soltanto che io non saprei ridire perché non stetti mai a sentirle. Quando ne avevo sopportata una guardando i gesti interessanti del bambino in lotta con la parola, egli mi guardava per vedere come avessi goduto del suo racconto e mi domandava: «T'è piaciuta? Vuoi che te la racconti di nuovo?». Io proponevo ch'egli la raccontasse di nuovo intanto ch'io avrei letto, scritto o suonato il violino. No, dovevo starlo a sentire altrimenti egli non sentiva la realtà del racconto. Io mi provavo di star a sentire ma subito nel mio petto sorgeva il temporale solito: "Come sono buono, come sono buono" e per poter attendere ai fatti miei consegnavo il bambino a Renata.
Renata è una cara ragazzina bruna, friulana.
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Valentino Umbertino Valentino Umbertino Renata
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