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      Io credo che ogni notte di sonno rinnova in tale modo Umbertino che alla mattina tutte le cose per lui sono nuove. Tanto nuove che le vedo nuove anch'io. Un binario! Perché lo guardava tanto, perché voleva seguirlo? Finché non implicava uno sforzo, per compiacerlo, lo seguivo anch'io. Ma quando bisognava camminare sulla ghiaia fra le due rotaie e le traversine erano troppo distanziate per poter saltare dall'una all'altra, io mi spazientivo e trascinavo via il bambino. Ma egli continuava a guardarle. Erano la base del grande treno che su di esse scivolava in modo tanto misterioso. Ed era importante scoprire dove cominciavano perché ogni principio è tanto importante ed era tanto doloroso che non si potesse vedere quell'altra parte importante, la fine del binario. Io risi e proposi ch'egli vedesse in quell'estremo binario invece che il principio dello stesso la sua fine. Fu una rivoluzione cui il fanciullo dovette sottoporsi e lo lasciò esitante. Poi vide, vide! Sì questa era la fine del binario.
      Arrampicati su di un muro assistemmo un giorno ad una scenetta. In un cortiletto c'era un cavallo libero imbizzarrito inseguito da un ragazzone che tentava di condurlo alla stalla. Il cavallo s'impennava e dava all'aria dei calci. Umbertino dal suo posto sicuro si divertiva un mondo e urlava dal piacere. La sua gioia rumorosa mi piace molto ma pur mi pare un segno dell'isterismo che imperversò sui suoi antenati. La sua gioia questa volta non poteva ferire nessuno perché il povero diavolo ch'era laggiù alle prese col cavallo non poteva né vederci né sentirci.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Umbertino