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      Io sono capacissimo di stare ad ascoltare una persona che mi parla senza sentire una sola parola di quanto mi dice. Andò benone. Certo le cose ch'egli m'aveva raccontato io le sapevo già. Per risposta gli diedi quello cui s'attendeva cioè una buona stretta di mano e una parola di commiserazione. Ma poi le sue visite nel mio studio si fecero troppo frequenti. Ogni atto d'indifferenza da parte di Antonietta me lo gettava fra le braccia. Entrava e s'aspettava ch'io subito cessassi di suonare o di leggere. Un giorno entrò proprio nel momento in cui con grandi sforzi ero riuscito ad allontanare Umbertino che s'era pensato di voler scoprire perché il grammofono gridasse. Spazientito proposi ch'egli parlasse senza ch'io dovessi interrompere la musica. Stavo eseguendo la nona sinfonia che mi concedevo una volta per settimana e non era permesso d'interrompere una musica simile. Lo invitai a parlare a bassa voce e promisi che sarei stato ad ascoltarlo sentendo ogni sua parola. Egli stette zitto aspettando che terminasse il disco e quando io m'apprestavo di cambiarlo egli incominciò a parlare. Non ne poteva più. Ecco che Antonietta spariva dalla casa quando lui ci arrivava. Perché? Se oramai egli non domandava altro che di aver il permesso di piangere con lei il suo defunto marito?
      Nel breve spazio di tempo che m'occorse per mutare il disco arrivai a dirgli che aveva commessa una grave imprudenza confidandosi in Umbertino e cessai di parlare quando la musica riprese. Avevo l'intenzione di starlo a sentire ma assolutamente non di parlare come la musica procedeva.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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