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      Ma prima di tutto io so che in mio suocero l'istinto degli affari si sviluppò tardi, anzi insieme alla sua grossa pancia. Ma poi come sarebbero pervenute al fine Carlo delle qualità di quel grosso e grezzo uomo ignorante, qualità ch'io m'ero abituato a considerare proprio connaturate a quel suo adipe, alla meditazione che naturalmente in lui si faceva sedata e tranquilla?
      Carlo era vivo e un po' nervoso ciò che aumentava la sua vivacità. Si sentiva se ti era seduto accanto, una vera, una grande compagnia. Non stava mai fermo e batteva spesso e rapidamente col tacco il pavimento: «Trillo del tacco» egli diceva sorridendo rassegnato. Fuma molto ma molto volentieri e sempre delle sigarette squisite. Alfio fuma anche lui ma rabbiosamente il suo puzzolente sigaro toscano. Neppure nel fumo non ha ereditato nulla da me.
      Tale mia affezione a Carlo si spiega un po' con la solitudine in cui ero lasciato dai miei figliuoli. Lo prova il fatto che Augusta tanto più bisognosa di affetti di me cercò dapprima il suo Carlo fra le bestie e, non bastandole, si associò a Renata che oramai è la sua compagna inseparabile.
      Renata entrò in casa di Antonietta quattr'anni or sono per sostituire la vecchia nutrice di Umbertino ritiratasi nel suo villaggio. Venne da noi quando Antonietta da noi si trasferì e passò al servizio di Augusta quando Umbertino di lei non ebbe più bisogno perché cominciò ad andare a scuola. Renata continuò solo a tenergli compagnia di sera perché egli non sapeva addormentarsi nella solitudine popolata per lui di tanti animali aggressivi e Antonietta dopo cena restava con noi.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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